A Cecilia Zorzi il vento gelido dell’Oceano Pacifico, che entra nella Baia di San Francisco, ha portato fortuna e ha segnato evidentemente una strada in tempi non sospetti, portandolaprima a vincere a San Francisco il titolo iridato Laser 4.7 (2011) e poi ad inseguire quella frizzante aria oceanica, che a Cecilia in realtà scalda il cuore. La sua storia, le sue emozioni, i suoi sogni che planano tra sempre nuove sfide:
Da un mare chiuso come il Garda e Mediterraneo, alla scelta di orizzonti oceanici. Come è nato questo cambio di rotta verso la vela offshore?
CZ: Il cambio di rotta è nato in quel periodo in cui si parlava di una nuova classe olimpica per Parigi 2024 del doppio misto offshore e avevo ancora la voglia di riprovare una campagna olimpica (idea partita nel 2019 con l’L30 e naufragata per scelta definitiva del CIO nel 2021) ). Ho avuto l'occasione di provare a navigare sul Figaro con Alberto Bona, in quell’ottica che sembrava olimpica e ho scoperto così la navigazione offshore. Di fatto mi sono innamorata di questo modo di vivere le regate e la navigazione; lui aveva già tanta esperienza e quindi mi ha dato i primi insegnamenti. Da lì è partito un po' tutto quanto.
La partecipazione di Francesca Clapcich alla precedente Ocean Race ha influito nella tua scelta? Vi siete mai sentite?
CZ: La partecipazione di Francesca sicuramente ha influito, ma in realtà più a posteriori, perchè quando lei partecipò alla Ocean Race io ero ancora focalizzata sulle derive. Ci siamo ritrovate alla Solitaire du Figaro durante quella stagione che ha fatto anche lei. Sicuramente è stata un grande esempio così come lo era già stata ai tempi delle derive (partecipazione Olimpica Londra 2012 e sul 49er FX a Rio 2016). Abbiamo avuto un percorso molto simile, dal Laser, al 49FX, all’altura e Ocean Race, con un occhio di riguardo alle regate ad equipaggio ridotto. Quindi è stata e rimane una grande ispirazione: ci siamo viste ovviamente ad Alicante per la partenza della Ocean Race e qui a The Hague alla partenza dell’ultima tappa; ci ha dato anche tanti consigli, perché lei conosceva già i VO65 avendo già fatto un giro: è stata molto disponibile e collaborativa!
Dopo le derive e le regate offshore in due ti sei trovata alla Ocean Race in equipaggio: è stato difficile gestire questo aspetto?
CZ: Personalmente preferisco la navigazione in solitaria o in due, così com’è chiaro dal mio progetto “Cecilia in Oceano” per la Mini Transat 2025. La navigazione in equipaggio porta con sè tante cose belle, ma anche tante sfide: non è facile trovare il proprio posto dal punto di vista tecnico, ma anche da un punto di vista proprio umano; le dinamiche a bordo sono comunque una cosa delicata anche in un equipaggio internazionale, con la lingua che è in parte un ostacolo, ma anche come mentalità, che ognuno ha. Non è facilissimo, ma c’è di buono che abbiamo tutti lo stesso obiettivo quindi lavoriamo per raggiungerlo.
Quando torni a terra non ti mancano le emozioni che ti ha dato l’Oceano? Quando siamo a terra ci godiamo tutto il resto: le comodità, la famiglia e quindi in realtà ci basta il ricordo di quei momenti mozzafiato per stare bene. Però devo ammettere che dopo qualche giorno che sono a terra divento un po' insofferente e c'è subito la voglia di ripartire; però è un equilibrio tra le due cose, quindi va benissimo così, alternanza oceano - terra!