4 mm di filo. L’approccio neozelandese alla soluzione dei problemi– la cosiddetta “number 8 wire mentality” – si risolve in un diametro tanto piccolo quanto cruciale.
È proprio questa mentalità che rende Emirates Team New Zealand un team speciale, fin dagli albori della sua storia.
L’espressione deriva dal fatto che in Nuova Zelanda nei numerosi allevamenti di pecore e nelle fattorie, il filo da 8 viene utilizzato per costruire le recinzioni. Gli allevatori spesso hanno a disposizione interi rotoli di filo che perciò viene utilizzato per risolvere qualsiasi tipo di problema.
L’espressione “The 8 wire mentality” rappresenta l’ingegno e l’intraprendenza dei neozelandesi e la loro capacità di risolvere problemi complessi o di creare qualcosa di nuovo ed efficace utilizzando materiali di scarto o qualsiasi cosa sia a portata di mano.
«The 8 wire mentality – spiega Elise Beavis, che lavora come ingegnere all’interno dell’Emirates Team New Zealand – è qualcosa che ci contraddistingue. Una filosofia che facciamo nostra quando si tratta di applicare soluzioni semplici, spesso low cost, a problemi complessi».
È proprio la soluzione più semplice a dimostrarsi spesso quella più efficace e capace di creare vera innovazione quasi dal nulla.
«Fondamentalmente – continua Ray Davies, allenatore dei velisti e veterano di Emirates Team New Zealand– si tratta di fare ciò che è necessario partendo da quello che si ha a disposizione.
Una filosofia che perseguiamo sempre come team, anche adesso che abbiamo accesso alle migliori attrezzature sul mercato, il cosiddetto “top di gamma”.
Mi tornano alla mente soprattutto i primi tentativi di foiling, quando con un budget davvero minimale dovevamo adattare un vecchio catamarano cercando di farlo volare.
Non ci riuscimmo subito ma da quei primi tentativi e da ciò che riuscimmo a creare durante quell’esperimento, abbiamo gettato le basi, non solo per la vittoria alla Coppa America a Bermuda ma per un’innovazione che ha cambiato la vela.»
«Lo sport che praticano – commenta Enrico Chieffi, CEO di Slam e tattico del Moro di Venezia – è parte della loro vita, parte della loro cultura. Il loro modo unico di approcciarsi alle cose li fa essere devoti all’obiettivo, perseguito al costo di qualunque sforzo, con qualsiasi strumento che hanno a disposizione».
Impegno ed intraprendenza, dunque, unite ad una mentalità che permette loro di ottenere il meglio con quello che hanno disposizione, a prescindere dai budget, e da ciò che gli altri fanno.
«Noi non ci limitiamo a comprare una tavola: noi costruiamo la tavola che ci serve, esattamente alla nostra maniera. – racconta Spencer Loxton della squadra a terra – spesso ci ritroviamo ad assemblare parti che abbiamo utilizzato dieci anni fa: ciò che funziona non lo buttiamo via ma lo riutilizziamo».
Provenire da una piccola isola in mezzo all’ oceano e riuscire a competere con le più grandi nazioni del mondo è uno stimolo a trovare risorse laddove non sembrano essercene, a cui si aggiungono il duro lavoro e lo spirito di inventiva.
«Credo che l’innovazione tecnologica non sia frutto di un’eccellenza pre-esistente ma della necessità. – afferma Kevin Shoebridge, chief operating officer di Emirates Team New Zealand – Quando guardiamo a qualsiasi storia di successo, la chiave di volta capace di aprire a dinamiche vincenti è l’attenzione e la curiosità.
Senz’altro non il denaro.
Le squadre possono avere tutti i soldi del mondo e comunque fallire nel centrare i loro obiettivi.
Avere un budget limitato e sapere che c’è soltanto quello, fa in modo che il team si debba necessariamente concentrare solo sulla soluzione più promettente per raggiungere l’obbiettivo perseguito.».
L’America’s Cup insomma non si compra con i soldi: la si vince con il tempo e con le persone.